Association Bordelaise des Utilisateurs de Logiciels libres
Giochi strategici per il controllo dell’innovazione immateriale e software
Introduzione
La recente battaglia al Parlamento Europeo sulla brevettabilità del software è un fenomeno che si inquadra al di sopra un conflitto più ampio in cui i giochi economici e strategici sono considerevoli. Essi infatti si situano al livello della perpetuazione delle culture e dell’accesso al sapere andando dunque al di là anche delle rivalità industriali.
Per limitare ragionevolmente la lunghezza di questa nota, si discuterà di alcuni degli aspetti strategici per l’Europa derivanti dalla privatizzazione dei beni informativi. Scopo del documento è di illustrare come sia importante seguire le raccomandazioni del Parlamento Europeo in materia di (non)brevettabilità del software e soprattutto come sia vitale questo orientamento nel quadro di una riflessione strategica coerente e portata avanti nel tempo.
Il lettore interessato a una descrizione generale della brevettabilità del software è invitato a riferirsi a [1] e, per gli argomenti puramente economici che giustificano il rifiuto della brevettabilità, a [2].
I brevetti sul software, un’aberrazione economica
Innanzitutto, come hanno dimostrato numerosi studi economici condotti sul campo [3, 4], un sistema di stimolo all’innovazione non può essere efficace che se non incoraggia effettivamente la produzione di prodotti finiti che vadano a beneficio dei cittadini e dunque della società nel suo insieme. In compenso, il monopolio di concetti di base scoraggia la produzione di tali beni: risulta infatti più redditizio per un attore economico detentore di brevetti ottenere royalty da entità che si assumono il rischio commerciale di realizzare i prodotti finiti piuttosto di concepire lui stesso quei prodotti e di rischiare di trovarsi in balia di attacchi della parte dei suoi simili. Così, più la portata del brevetto è ampia e si estende nel tempo, più vengono incoraggiati comportamenti predatori e l’assenza di assunzione di rischio, a danno dell’innovazione. Nel caso del software, la durata minima di vent’anni, che sarebbe imposta dagli accordi TRIPS se si considerasse il software brevettabile, supera di oltre dieci volte la vita commerciale media di un software: ciò non ha alcun senso economico perché blocca gli sviluppi ulteriori di altri innovatori che devono, per penetrare il mercato, acquisire royalty sulle idee di base il cui costo di sviluppo, se mai c’è stato, è già stato ampiamente rimborsato.
Tra i grandi attori, c’è chi intesse accordi per lo scambio di portafogli di brevetti, scambio che permette loro di credersi in un mondo senza brevetti, ma che genera molteplici effetti perversi. Innanzitutto quale interesse economico c’è per queste imprese, e dunque per i loro clienti e per estensione per la società nel suo insieme, a finanziare il deposito di brevetti che serve a opporsi all’esistenza di altri brevetti mentre la loro assenza tornerebbe direttamente a loro vantaggio? Poi, alla fine di questi scambi, le sole entità che devono supportare il costo delle licenze sono le piccole e le medie imprese innovative, che non possono così accedere ai mercati che sarebbero redditizi per i loro investimenti. Il sistema funziona quindi esattamente all’opposto di come dovrebbe, penalizzando le PMI, che rappresentano più del 70% degli addetti e della ricchezza prodotta nel settore in Europa.
Risulta dunque poco sorprendente che i sostenitori dei brevetti siano maggiormente i gruppi a favore della «proprietà intellettuale» e degli uffici brevetti, i quali prosperano con l’aumento del numero dei protocolli depositati e dei contenziosi che ne discendono così come i servizi sui brevetti di alcune grandi imprese, che acquisiscono un potere crescente malgrado trovino l’opposizione anche delle direzioni tecniche interne (ma non hanno voce in capitolo, come nel caso di Alcatel, per esempio).
I brevetti sul software, una minaccia strategica per l’Europa
L’argomentazione di alcune grandi imprese che fanno pressione per la brevettabilità del software non tiene ed è dannosa a lungo termine per le nazioni europee.
Innanzitutto ribadiamo che la maggioranza di queste imprese produce marginalmente software, anche se esso comprende una fetta importante delle funzioni logiche messe in azione dai dispositivi rilasciati. Tuttavia, come visto più sopra, è la capacità realizzativa dei prodotti che occorre proteggere e non le funzioni logiche astratte di per sé. Non parliamo nemmeno della pressione esercitata dalle imprese dei media (tipo Vivendi), che sono solo utenti di software e che cercano di monopolizzare gli strumenti per la visualizzazione dei loro contenuti.
Inoltre, queste imprese giustificano il bisogno di brevettare il software con la necessità di controllare l’innovazione a monte, delocalizzando la produzione effettiva dei beni materiali nei paesi in via di sviluppo come la Cina o l’India. Ricordiamo a questo proposito la dichiarazione di Serge Tchuruk di Alcatel, il quale si augura che la sua sia un’«impresa senza fabbriche». Questo comportamento non è realista ed è suicida perché:
- porta a ridurre in modo significativo il numero di dipendenti europei trasformando queste «grandi» imprese sedicenti europee in società finanziarie che impiegano lavoratori nei paesi in via di sviluppo per fornire ai consumatori europei prodotti i cui benefici di vendita andranno maggiormente ad azionisti non europei. Il saldo dei movimenti di capitali creati è così negativo per il continente europeo;
- è irrealistico immaginare che paesi come la Cina e l’India restino esecutori docili al servizio di centri di studio e di ricerca europei con il pretesto che questi ultimi deterranno i brevetti sulle tecnologie messe in opera. Visti gli sforzi di educazione dell’India e della Cina e il contenutissimo costo della loro manodopera operaia ma anche scientifica, è più economico per questi paesi risviluppare la propria tecnologia piuttosto di pagare a caro prezzo le licenze dei brevetti. Approfittando del sapere accumulato di fatto dalle localizzazioni di siti di produzione, attualmente l’interesse di queste nazioni è quello di risviluppare a basso costo proprie tecnologie e brevetti a loro volta. Questi brevetti garantiranno loro il monopolio sui mercati nazionali, di numerosi miliardi di consumatori in totale e non ancora saturi, a differenza dei quelli europei e nord americani. Questi mercati non potranno essere penetrati dalle imprese occidentali perché queste, per inserirvisi e per accedere ai brevetti «locali» a protezione delle tecnologie locali, dovranno consentire lo scambio dei loro portafogli di brevetti: essi non saranno dunque più di alcuna utilità e non ammortizzeranno il costo di una ricerca e di uno sviluppo più costoso. L’esempio dello sviluppo della tecnologia EDV è chiaramente orientato in questa direzione [5, 6]. La tappa successiva sarà dunque che queste grandi imprese che di europeo non avranno altro che le loro sedi sociali, sarà la delocalizzazione dei loro laboratori di ricerca e sviluppo contribuendo all’impoverimento scientifico dell’Europa. è dunque pericoloso da parte loro fare affidamento e dare corso, a nome dell’Europa, alla loro domanda di rafforzamento della «proprietà intellettuale», che non serve nei fatti che agli interessi privati immediati dei loro azionisti a danno degli interesse di lungo termine dell’Europa.
I meccanismi monopolistici come i brevetti non favoriscono altri che gli attori dominanti [7]. D’altro canto, all’inizio del ventesimo secolo, gli Stati Uniti non hanno potuto emergere rapidamente di fronte all’Europa se non violando allegramente numerosi brevetti europei, come attesta la stampa dell’epoca. A fronte del declino finanziario per la ricerca in Francia e anche in Europa, non è ragionevole pensare che l’Europa possa prosperare in questo contesto, presa nella morsa della potenza industriale ancora superiore ma declinante degli Stati Uniti e della potenza crescente dei paesi in via di sviluppo come la Cina e l’India. Ricordiamo che la terza nazione che ha avuto accesso al volo spaziale non è stata una nazione europea, ma la Cina.
Il solo mezzo per l’Europa di continuare a esistere scientificamente consiste nello spronare l’apertura e la collaborazione per mutualizzare gli sviluppi e, per farlo, abbassare il costo globale della sua ricerca, permettendo così di non dover delocalizzare. Il periodo di progresso tecnico che conosciamo è la prosecuzione di quattrocento anni di libera diffusione della conoscenza, successiva all’abitudine ai segreti matematici che prevalevano dall’antichità fino al Rinascimento. è aberrante immaginare che qualcuno possa spronare un ritorno alla parcelizzazione della conoscenza facendo passare questa regressione storica per progresso.
Per concludere, ci si può interrogare sul beneficio per l’Europa dall’adozione di una legislazione che si dice volta a favorire gli Stati Uniti e il Giappone mentre gli stessi Stati Uniti fanno pressione su alcuni eurodeputati (per la maggior parte conservatori inglesi, vecchi riflessi della via dura) affinché la votino [8]. Saranno masochisti a tal punto?
Azioni da portare avanti
è essenziale che il governo francese sostenga senza riserve la posizione adottata dal Parlamento Europeo sulla non brevettabilità dell’immateriale [9] (idee, metodi educativi e commerciali, software), che costituisce una posizione equilibrata e positiva per l’Europa sul piano economico e strategico.
Questa posizione ricorda che il software non può essere in alcun caso brevettabile e che, nel caso di dispositivi ibridi che vedano la combinazione di una parte materiale e di software, questi dispositivi sono brevettabili alla sola condizione che la parte materiale costituisca un’invenzione così come previsto dalla legge sui brevetti. Questa dottrina è semplice ed efficace in quanto:
- traccia una delimitazione chiara fra ciò che è brevettabile e ciò che non lo è, al contrario di tutte le contorsioni intellettuali avanzate dagli uffici brevetti per creare una distinzione fra software «tecnico» e «non tecnico»: essa comporta nella pratica ad autorizzare la brevettazione di tutto il software così come dei metodi intellettuali, commerciali o anche ludici
- si allinea agli accordi TRIPS in cui il software, non essendo considerato un ambito tecnico, non rientra all’interno dell’articolo 27. D’altro canto, considerare che alcuni programmi sarebbero «tecnici» e dunque brevettabili obbligherebbe, secondo gli accordi TRIPS, a brevettare tutto il software
Riferimenti
- [01]
- http://www.abul.org/brevets/articles/tsuba_note.php3
- [02]
- http://www.abul.org/brevets/articles/parlement_20030924.php3
- [03]
- http://www.ftc.gov/os/2003/10/innovationrpt.pdf
- [04]
- http://www.researchoninnovation.org/swpat.pdf
- [05]
- http://www.china.org.cn/english/scitech/78549.htm
- [06]
- http://www.china.org.cn/english/scitech/80346.htm
- [07]
- http://www.theworld.com/obi/Bill.Gates/Challenges.and.Strategy, si veda il paragrafo intitolato Brevetti
- [08]
- http://swpat.ffii.org/papers/eubsa-swpat0202/ustr0309/
- [09]
- http://swpat.ffii.org/papers/europarl0309/index.en.html
P.S.
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